Il calcio oggi non merita i nostri rischi”, l’addio a Jackie unisce gli ultrà
The requested URL returned error: 410 GoneNella cappella della Palazzina “Camere Mortuarie” dell’ospedale San Luigi, dove si è svolto il funerale di povertà pagato dal Comune, il ricordo di Jackie ha ricucito ferite collezionate in anni di battaglie sulle gradinate. Antonio Marinaro non era uno stinco di santo.«Era conosciuto per il suo look e la sua incoscienza. Partiva da solo contro le curve avversarie nel nome della Juve. Ma è anche il simbolo di quando il tifo era amicizia», dice Aldo Caiola, “ragazzo della Filadelfia”, 61 anni, uno dei fondatori dei Fighter. All’ingresso del campo santo è circondato da tre generazioni di ultras bianconeri: Panthers, Drughi, Tradizione. Nessun gruppo è voluto mancare alle esequie. Neanche gli avversari da stadio. In chiesa si è intravista una sciarpa del Cagliari, in via Bertani un tifoso della Fiorentina. E poi, un gruppo nutrito di ultras del Toro.
Antonio Marinaro aveva scelto una vita controcorrente. In equilibrio precario come su quella balaustra dove lanciava i cori al vecchio Comunale. «E’ stato uno dei precursori della mentalità ultras», dice l’ex Drugo, Beppe Franzo. Filosofia guerriera. Dove il linguaggio della violenza spesso ha preso il sopravvento sui valori come il rispetto e l’aiuto reciproco. E nel momento del dolore, come in passato per altri lutti da ambo due le parti, le curve hanno deciso di mostrare questo lato nascosto dell’essere tifoso. Prima del lungo applauso seguito all’invito alla fratellanza lanciato dai volti storici della Maratona. «La giornata di oggi deve essere un esempio per i giovani. Sono mutati i tempi, i giocatori cambiano squadra per denaro. Non ci sono più le bandiere. Non vale più la pena farsi male per loro». Il calcio moderno era un nemico anche per Jackie. «Dobbiamo essere uniti: nei valori, nella goliardia anche dandoci qualche volta due schiaffoni. Dobbiamo vivere la nostra passione rispettando i limiti».
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